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18 giugno 2013 2 18 /06 /giugno /2013 15:06

BOLOGNA - Abbiamo assistito lunedì sera, 17 giugno, nell'ambito di "Piazza Pulita" di Corrado Formigli, ad un confronto fra il rivoluzionario riformista, Walter Veltroni, e il rivoluzionario senza rivoluzione, Oliviero Toscani. Toscani ha incalzato Veltroni: in altri paesi gli uomini politici quando hanno fatto il loro tempo spariscono di scena, come gli imprenditori che, dopo aver proposto per anni un prodotto, sono superati da nuove merci; il mercato rende obsoleti loro, le loro idee e i loro manufatti. L'accusa era indirizzata a Veltroni che ha prima risposto sostenendo di essersi ampiamente fatto da parte rinunciando ad essere candidato e quindi eletto in qualsiasi istituzione italiana, poi ha proposto un'argomentazione graffiante. Anche tu - ha replicato - caro Toscani, verrai presto superato da fotografi più bravi e più giovani. La discussione a questo punto si è infilata lungo un percorso in cui Toscani ha avuto la meglio. Io - ha sostenuto il fotografo - sono sul mercato e resisto bene. Per questo continuo. Tu hai perso e sei superato. Perchè sei qui?

 

Abbiamo visto quindi due pretendenti a rappresentare in qualche modo un'idea di sinistra che propongono la loro idea della politica: una merce. E non una merce qualsiasi. Una merce storicamente determinata, quella del capitalismo attuale, quella, secondo il quale, un prodotto sopravvive se è performante rispetto alle regole che lo stesso mercato capitalista si è dato. Ad un certo punto Veltroni si è ribellato: io mi sono dimesso da tutto, ma non posso dimettermi da una mia passione. Isomma o è merce o al massimo è passione. La politica, bene che vada, vale più o meno come la caccia, la pesca d'altura, il giardinaggio o il birdwatching.

 

La constatazione che la sinistra non abbia un'idea della politica così diversa da una merce con tutta la tradizione di riflessioni profonde, contrastate ma feconde che negli ultimi cinquecento anni da Machiavelli in poi è stata frequentata, la dice lunga sulla confusione valoriale che regna in questa parte del campo politico. O perlomeno della confusione che c'è fra chi vuole spacciare il riformista di un sistema da non toccare o il rivoluzionario a cinquestelle o United colors come i simboli dietro i quali si agitano gli scenziati del laboratorio del cambiamento. "Andam ban", avrebbero detto i vecchi dirigenti comunisti bolognesi.

 

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23 maggio 2013 4 23 /05 /maggio /2013 01:23
  • BOLOGNA - Su Il Corriere dello Sport-Stadio del 23 maggio 2013 si può trovare questa mia riflessione sulla morte di Don Andrea Gallo, destinata, appunto, ai lettori del quotidiano romano e bolognese. Volevo condividerla con tutti voi

 

 

Avrebbe compiuto 85 anni a luglio Don Andrea Gallo, prete da quasi 54 
anni, interprete più radicale del pensiero di Don Bosco. Un salesiano 
purissimo. E’ scomparso ieri e tutta Genova, la sua città, lo piange. 
Chi lo adorava, chi storceva il muso di fronte alle sue scelte, chi lo 
apprezzava senza poterlo poi dire ad alta voce. Studi filosofici e 
tanta testimonianza nei luoghi dove i preti dovrebbero stare e dove 
spesso si trova miseria e retorica; si è affacciato anche nel calcio, luogo per eccellenza della retorica. Don Gallo ha interpretato una speciale 
«visione del mondo cattolica». Quella che costantemente abbraccia gli 
ultimi, gli sfruttati, gli abbandonati. La Carità, virtù teologale adulta e umile, viveva al suo fianco con lo sgambettare della Speranza, la virtù più giovane. La Fede era piuttosto l’architrave su cui poggiare ogni azione concreta, non il fatalismo che fa scivolare ogni cosa.
 
Ha vissuto la Genova medaglia d’oro per la Resistenza, il 
Brasile delle comunità oppresse da uno spaventoso regime militare, il 
degrado urbano devastato dalla droga e dall’emarginazione, a fianco 
agli omosessuali, ai lavoratori del porto, ai disoccupati, ai 
carcerati. Cappellano sulla nave scuola Garaventa, sostituisce la 
repressione tipica dei riformatori con l’opportunità della libertà e 
del riscatto. Allontanato dai vertici salesiani verso il carcere a 
Capraia, diventa poi cappellano della Chiesa del Carmine. Allontanato 
anche da lì, negli anni Settanta, approda a San Benedetto al Porto. 
Questo luogo assurge a simbolo; l’amicizia con Fabrizio De Andrè 
diventa sincretismo fra umori e valori diversi, destinati però al 
racconto e al riscatto degli umiliati e degli offesi.
 
    Il Genoa, di cui era tifosissimo, lo ha ieri ricordato con una lunga 
testimonianza, la Sampdoria con i cui tifosi dialogava attraverso una 
impareggiabile ironia, lo ha abbracciato. Amico di Onofri, uno dei 
simboli della Genova rossoblù, ha animato anche la cooperativa 
“insieme per Genova” formata da ragazzi sampdoriani e genoani, uniti 
in un progetto di contrasto alla violenza e alla droga. Era malato, ma 
non aveva mai rinunciato a lottare senza mostrare sofferenza. Dopo la 
rinuncia di Benedetto XVI aveva sperato: «Il prossimo Papa si chiami 
Francesco. E ricominci dagli ultimi».

 
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3 maggio 2013 5 03 /05 /maggio /2013 02:09

BOLOGNA - Leggendo un inno di Friedrich Hölderlin ho pensato, chissà perchè, al Partito Democratico. Quell'organizzazione politica che sul principio del terzo Millennio nacque e poi, presa da furore, in pochi anni si dilaniò fino alla sua distruzione, incurante dell'incendio che divampava intorno e dello spettacolo che offriva di sè. E allora, ridendoci su, saccheggiando vari autori, mi sono avventurato in un divertissement che a liceo, più efficacemente, avrei chiamato cazzeggio e che ha il solo pregio di essere messo insieme senza doping. Senza cioè aver assunto droghe, nè leggere, nè pesanti. Nè, tantomeno, alcol.

 

Il componimento al quale mi riferisco è Stimme des Volks, Voce del Popolo, nel quale si racconta anche dell'incredibile assedio portato da Bruto alla città di Xanto, adagiata lungo il fiume omonimo. Ad un certo punto nella città si sviluppa un incendio. E' di tali dimensioni e così devastante che persino l'assalitore si muove a compassione e prova a dare aiuto ai suoi nemici. Ed ecco cosa succede.

 

Lungo lo Xanto si stendeva, in età greca, la città,

Ora però, come l'altre maggiori che laggiù riposano,

Per un destino, alla sacra

Luce del giorno s'è sottratta.

 

Ma non nell'aperta battaglia perirono

Di propria mano. Spaventoso, quanto

Laggiù avvenne, nella mirabile saga

Dall'oriente ci è giunto.

 

Fu la bontà di Bruto ad eccitarli. Poiché

Quando il fuoco eruppe, egli si offrì

Di aiutarli, lui stesso, il condottiero,

Sebbene di fronte a quelle porte li assediasse.

 

Pur dagli spalti i servi essi gettarono,

Che egli inviò. Più vivo ne fu

II fuoco ed essi ne gioirono, e a loro

Le mani Bruto tendeva E tutti eran fuor di sé. Un urlo

 

Si levò, e giubilo.

Giù nella fiamma si gettarono

Uomini e donne, e dei fanciulli l'uno

Dal tetto, sulla spada paterna l'altro.

 

[…] E case E templi rapiva, al sacro Etere

Fuggendo, e uomini insieme, la fiamma.

 

   Il fuoco fisico prorompe nell’animo. Tutto è in mano alla potenza che Hölderlin cerca a lungo di identificare, di divinizzare. E ne scova, infine, l'identità: è, per il poeta che vede ogni cosa in termini greci, la potenza dionisiaca. E ciò che domina dentro e fuori. Questo delirio è mistero, è il piacere inebriante di volontà di potenza che si rovescia nella gioia dell’adesione al compimento: morire. Il dionisiaco è l'impulso a dominare e diventa la vita stessa nella congiunzione dell’inizio e della fine di ogni esistente. Di fronte alla bontà di Bruto che li assedia e che corre in aiuto allo svilupparsi dell’incendio, gli abitanti di Xanto si eccitano. L’eccitazione è una visione estatica nella quale quegli uomini e quelle donne, stremati dai combattimenti, dileguano se stessi abbracciando il destino e protendendosi verso la morte. Ma c’è un pericolo, emerge con forza: dal dionisiaco può sorgere il titanico. Se il titanico vince prevale il kaos indistinto. Il dionisiaco superando ogni ostacolo romperebbe le forme ed allora la terra si frantumerebbe: tutto precipiterebbe nell'indistinto. In questa degenerazione il dionisiaco diventa titanico, è la furia che inveisce contro i confini, come il fiume contro il suo tracciato e i suoi argini. La direzione orizzontale del fiume improvvisamente minaccia di trasformarsi in quella del fulmine che saetta verticalmente verso il basso, spaccando la terra. Le leggi sono in procinto di essere annullate. Le cose, i boschi e i monti si dispongono a fuggire dietro al fulmine, verso chi non ha nome. E’ il Kaos. Bacco, trasformatosi in Titano, avvelena il tramonto dionisiaco e si rovescia in una distruzione sconsiderata.

Dopo anni di interrogativi l'ho capito. Pd significa Partito Dionisiaco.

 

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18 aprile 2013 4 18 /04 /aprile /2013 02:27

BOLOGNA - Il senso della tragedia dell'esistenza può emergere quando meno te l'aspetti. Anche sotto forma di sberleffo. E' il caso di Mario Pisani, morto a cava de' Tirreni lo scorso 13 aprile a 94 anni. I manifesti mortuari, come si conviene al Sud, anche se in un centro quasi metropolitano, vengono affissi nel quartiere o nelle zone frequentate dal defunto. 

 

 "E' venuto a mancare all'affetto di nessuno, per il gaudio di parrenti e conoscenti, Coloro che in vita non mi hanno accolto nella più grossa sciagura della mia esistenza, io non li voglio neppure da morto". Come introduzione - quasi un distico che precede il cuore del messaggio - appare in caratteri leggermente più piccoli la seguente frase. "Volevo non essere mai nato per mai soffrire e mai morire". Altro che invito alla pacificazione post-mortem in stile "A' livella" di Totò. Autentico o falso che sia l'episodio (i manifesti sono stati affissi per davvero, il morto, ancora non è sicuro sia stato l'autore) è di fatto uno sberleffo più che dinanzi alla Morte, a seguito della Vita.

 

Uno sberleffo che sembra una citazione da "La nascita della Tragedia" di Nietzsche. Quando Re Mida cerca di farsi dire dal Sileno, creatura sinistra, della progenie di Dioniso, quale sia la cosa migliore per l'uomo. Seguiamo il brano nietzschiano. "Il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde infine tra le mani, il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l'uomo. Rigido e immobile, il demone tace, finché, costretto dal re, esce da ultimo fra stridule risa in queste parole: 'Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggioso non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile. Non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto'". Vivo o morto, autentico o falso, Mario Pisani, o pseudo-Pisani, sa o sapeva quello che ha scritto. Un testo che si inserisce appieno nella grande tradizione che privilegia, ad esempio, la lettura tragica della civiltà greca (e quindi della civiltà nostra progenitrice), anzichè quella serena descritta da tanti classicisti, in voga dal Rinascimento in poi.

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15 aprile 2013 1 15 /04 /aprile /2013 00:52

BOLOGNA - Mentre una parte dei commentatori ideologizzati produceva i canti d'elogio funebre per la scomparsa di Margaret Thatcher, Jorge Mario Bergoglio era al lavoro per definirela lista dei cardinali sui quali poggerà il tentativo di riforma della Curia romana e del governo della Chiesa. Fra questi c'è il tedesco Reinhard Marx. L'omonimo del grande pensatore comunista è stato, tra l'altro, vescovo di Treviri, città natale del filosofo tedesco. E ha scritto un testo, tradotto in Italia nel 1979, dal titolo inequivocabile. "Das Kapital". In Italiano si specifica: "Critica cristiana delle ragioni di mercato", in tedesco l'occhiello è "una riflessione per gli uomini". Il "Das Kapital" di Reinhard Marx è un testo in cui, da un punto di vista cristiano e non socialista, si arriva ad una confutazione dei motivi ispiratori che hanno promosso il capitalismo globale e finanziario e se ne sottolineano le contraddizioni e l'inconciliabilità con la visione del mondo cattolica. Le analisi e gli strumenti marxiani vengono utilizzati senza infingimenti ed è la prova che tutte le politiche di tipo liberale hanno un sostrato ideologico di tale durezza e di tale vetustità che sono stati superati persino dalla Chiesa cattolica (e pensare che i sostenitori di Matteo Renzi, quelli della Milano della finanza,  sono entusiasti del loro protetto perchè vedono nel giovane rampollo una delle poche persone di centro sinistra che non ha letto Marx. E se ne vanta)

I devastanti effetti delle politiche liberali nel mondo hanno portato al successo del capitalismo finanziario e all'erosione delle attività imprenditoriali basate sulla produzione manifatturiera. Ma il vero e maggiore ostacolo ad un confronto sincero e approfondito sulle cause della grande crisi è il mancato riconoscimento che (lontano dal rappresentarsi come la mano invisibile dell'economia che regola la vita della comunità globale) le scelte che abbiamo subito negli anni Novanta furono l'effetto di una operazione costruita a tavolino e basta su due fattori. La volontà di potenza e di dominio di alcune elites capitaliste mondiali e la decisione di far dipendere ogni mossa da una visione ideologica che postulava il principato dell'iniziativa privata (di pochi) ai danni dei bisogni e degli interessi dei molti. Questo è stato in una sintesi radicale il tatcherismo e il reaganismo, ovviamente ammantati da una visione religiosa di tipo protestante visceralmente anti-cattolica, anche se non conclamata. La capacità della Chiesa di recuperare per un ruolo politico di primo ordine un cardinale capace di confrontarsi senza riserva con il fondatore del comunismo scientifico la dice lunga di come siano arretrati e consumati i vecchi strumenti ideologici del liberismo che, però, continuano a orientare la battaglia culturale spacciando certe scelte per opzioni di libertà.  

Quando l'equazione liberismo e liberalismo uguale a libertà scomparirà dalla visione culturale dominante dei rapporti fra economia e politica si getteranno le basi per un confronto più fecondo al fine di venire a capo dei grandi enigmi dello sviluppo planetario.

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26 marzo 2013 2 26 /03 /marzo /2013 01:10

BOLOGNA - Ho finito di leggere il dialogo fra il teologo Vito Mancuso e l'ateo Paolo Flores D'Arcais. Un testo intitolato "Il caso o la speranza?" (Garzanti 2013). Un confronto che si articola sulla contrapposizione che l'idea di un'ulteriorità sia (tesi di Flores d'Arcais) al di fuori della verità, semmai spendibile per qualche forma di consolazione alla quale si contrappone la tesi di Mancuso secondo la quale la forma di indagine scientifica non sia la sola a consentire l'approdo o meglio la ricerca della verità (sia pur rispettando la "verità scientifica", fondamentale per gran parte del nostro vivere). Il nocciolo della questione è (per me), nel libro, davvero questo. A margine ci si può interrogare se Dio esista o no, cosa sia l'anima e se questa sia immortale o meno, quesiti che generano una contrapposizione e quindi stendardi opposti ai quali riferiscono esplicitamente i due contendenti.

 

Il testo è ricco di citazioni soprattutto ricavate dalle riflessioni di carattere filosofico dei cosiddetti "analisti": si offrono al lettore varie tesi filosofiche attribuite a quegli scienziati che hanno segnato le recenti grandi scoperte in bio-genetica, astrofisica, con qualche approfondimento sul confronto scientifico e filosofico ricavato dalla storia del pensiero evoluzionistico, il percorso sviluppatosi da Charles Darwin in poi.

 

Sono rimasto però meravigliato che fra le tantissime citazioni (spesso ridondanti) manchi quella di un autore che è assolutamente fondativo rispetto al ritorno della ricerca sull'Essere che come corollario ha il superamento dell'idea di scienza come orizzonte ultimo e definitivo. E' Edmond Husserl, significativo in questo contesto, perchè cresciuto con una solida formazione scientifica e con una assoluta padronanza dei grandi temi che la scienza portava ai suoi tempi a discussione. La questione è posta da un punto di vista storico-filosofico e teoretico nell'ultima opera dell'autore nato in Moravia, "Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie: Eine Einleitung in die phänomenologische Philosophie" (1935), "La crisi delle scienze europee e la filosofia trascendentale: una introduzione alla filosofia fenomenologica". Questa opera riaccese un dibattito che sembrava chiuso dopo i paletti posti da Kant e durante lo stradominio culturale del positivisimo che, in nome della scienza, aveva ridotto l'"uomo" ad un "fatto" (condizionando e, a mio avviso, inaridendo il ricchissimo pensiero di Marx in un'interpretazione che ha avuto fortuna politica ma scarsa fecondità, quella positivistica del materialismo dialettico).

 

In questo testo fondamentale si ricerca, come tutto il metodo fenomenologico poi impone anche altrove (nell'arte ad esempio), il plenum della realtà che non si ritiene esaurito con la descrizione scientifica. Tutto ciò cui la scienza non dà risposta (vedi segnatamente le grandi domande per le quali - come dice Heidegger - la filosofia ha subito cominciato a pensare in grande) non è derubricato in un'area trascendentale della quale non sia possibile un'autentica conoscenza. Il testo di Husserl, lontanissimo dall'essere un approccio irrazionalitico e antiscientifico, apre alla comunicazione di due mondi che sembravano (tra fine Ottocento e inizio Novecento) separati, e comunque è un testo che promuove la riscoperta del reale nella sua pienezza e ricchezza, finalmente preda del pensare dell'uomo senza più riserve. Non si chiede al fenomenologo, colui che applica il metodo di cui Husserl diventerà capofila, di abbandonare il rigore, anzi. Rigore e scienza convivono in una sorta di staffetta dove, al termine del cammino dell'una (o parallelamente), esiste l'attività indagatrice dell'altro.

 

Tutti coloro che hanno parlato di scienza come chiave della verità e coloro che invece hanno ripreso a indagare sull'Essere e sulle grandi domande che la filosofia propone non hanno potuto prescindere da questo testo che ha aperto la grande divisione fra continentali e analitici, le due correnti di pensiero prevalenti nel Novecento. Nel testo di Flores d'Arcais e Mancuso si indugia qua e là su Dilthey e Brentano (quest'ultimo ispiratore di Husserl) ma non si va a cuore del grande problema, storicamente posto da Husserl che ruppe la distanza fra soggetto e oggetto, in favore di un 'indagine che comprendesse entrambi come momenti di un plenum indagabile e conoscibile per davvero. Sarei curioso di chiedere ai due protagonisti del dibattito, forse più a Mancuso che a Flores d'Arcais (Husserl è un ottimo argomento contro l'obiettivismo fiscalistico) il motivo di questa scelta, molto singolare per la assoluta aderenza della fenomenologia al tema trattato nel dialogo tra i due intellettuali.

 

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21 marzo 2013 4 21 /03 /marzo /2013 11:45

BOLOGNA - Resto sempre stupefatto della rubrica di Aldo Grasso sul web del Corriere della Sera non tanto per i giudizi segnati da uno standard ormai conclamato. Si plaude il cosiddetto nuovo, si critica, a volte si offende quello che sembrerebbe il vecchio, dall'alto (o dal basso) di una visione basata su un gusto del giusto mezzo piemontese o lumbard che dir si voglia. Mi ricorda le invettive critiche di Benedetto Croce (senza offesa per il grande filosofo idealista) che stroncava temibilmente tutti gli autori che gli passassero tra le mani, scuoiandoli con il bisturi della metodologia più radicale: poesia e non-poesia. Ma alla fine, dal trono del Grande Giudice anche Croce aveva un background stilistico di riferimento (criticabile): quel sentimento lirico che, senza eccessi, ma senza torpori si rifaceva ad una classicità rivisitata dai tempi moderni, insomma Carducci. Più o meno così procede Grasso che aggiunge, di tanto in tanto, sentenze politiche, anche queste ispirate alla tradizione-pretesa che fu del Corriere della Sera di rappresentare il pensiero medio borghese della Milano che conta, una volta concetto abbastanza chiaro, ora smarrito tra mille inciampi dettati dal progresso delle tecnologie e dai nuovi aggregati ideologico-sociali.

 

Ma, non è questa la cosa che sorprende. La cosa che sorprende di Aldo Grasso che ha acquisito il format twitter in streaming, senza però supportare questa brevità con un'intensità o una capacità prepotente di esprimere contenuti, come il tempo a disposizione esigerebbe.

Il suo format è di 2 minuti e mezzo circa, sigle di apertura e chiusura comprese. La sua efficacia, però, è quella di un occhiello che, in gergo giornalistico, è la riga che appare sopra il titolo ed è destinata ad intrudurre l'argomento supportato dalla forza del titolo, spiegato poi nel catenaccio (la riga o le due righe sotto al titolo) e dai sommari. Non solo Grasso non arriva al contenuto, ma spesso non giunge nemmeno al titolo. Insomma introduce appena un argomento e poi tanti saluti.

 

Prendiamo l'esempio del post video sulla Formula Uno di questi giorni: 2'25" secondi appena, comprese - si diceva - le sigle di apertura e chiusura. Nei primi 45 secondi dà una notizia in realtà già ampliamente nota attraverso i dati di rendicontazione del traffico televisivo. Il Gran Premio d'Australia di Formula Uno, trasmesso da Sky, ha toccato, repliche comprese, 1 milione di telespettatori. Un dato, per Grasso, cospicuo. Nei successivi 30 secondi afferma che la Rai ha trasmesso lo stesso evento in differita raccogliendo 5 milioni di utenti. Nei 40 secondi successivi, peraltro aiutato dalle immagini che gli appaiono alle spalle, Grasso spiega quello che ormai è noto a tutti da mesi: Sky ha raccontato il Gran Premio con modalità diverse, utilizzando un mosaico interattivo di inquadrature che diventa materiale per la regia del telespettatore. La Rai, invece, afferma Grasso, propone una narrazione tradizionale dell'evento.

 

Infine, si dirà, arriva l'analisi. Eccola: in 25-30 secondi: "se ci fosse un sociologo che volesse studiare seriamente il problema - afferma Grasso - si troverebbe di fronte una materia particolarmente interessamente, perchè si assiste ad una disparità sociale mascherata". Punto. Chiuso. E ripete il concetto negli ultimi secondi: Da una parte c'è un modo nuovo di guardare la televisione, dall'altra un modo tradizionale.

Alla fine verrebbe da dire: e allora? Il semiologo Grasso studia la tivvù - è proprio la sua materia, nella quale è considerato una sorta di luminare, un mostro sacro - e ci dice che esiste una fatto rivoluzionario innescato dall' introduzione del mosaico televisivo capace di determinare una faglia sociale. E poi chiede l'aiuto degli esperti per mostrarne il senso. E' come se un politologo di fronte all'affermazione del Movimento cinque stelle affermasse che il fatto è clamoroso, ma chiedesse aiuto per mostrarne il senso a chi ne sa più di lui. Okai, buon suggerimento. La volta prossima andremo direttamente ad ascoltare un vero esperto. O qualcuno capace di azzardare delle idee. 

 

Ps. Peraltro la novità del mosaico interattivo (in altri paesi già in uso) è in linea con le piccole e grandi innovazioni che spingono il mondo della comunicazione lungo sentieri assolutamente inediti, sotto la pressione innovativa di quelle trasformazioni che genericamente indichiamo con la categoria di innovazioni tecnologiche e di interazione. Lo capiamo da soli che il fatto rappresenta una novità (e di quale portata nemmeno è chiaro).

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18 marzo 2013 1 18 /03 /marzo /2013 13:00

BOLOGNA - Sorprendente affermazione del segreteraio del Pd. Nella polemica che è seguita alla prima sconfitta politica del M5s, in seguito alle elezioni dei presidenti di Camera e Senato, il comico-profeta del movimento di cui è proprietario e il segretario del primo partito del paese (compreso il voto dei residenti all'estero è il Pd il primo partito per suffragi raccolti alla Camera) si sono scambiati due battute a distanze. Da una parte, spiazzato dalla mossa Pd, Grillo deve ora vedersela con una base che giustamente gli rimprovera l'autocrazia e l'insensatezza delle scelte (non votare il ballottaggio fra Schifani e il neo eletto deputato Grasso significa insostanza rinnegare alcuni dei principi per i quali il M5s ha ottenuto grande ascolto e consensi), dall'altra Bersani è pronto a fare del metodo Grasso-Boldrini un grimaldello per poter costringere tutti i rappresentanti dell'assise nazionale a parlare di temi concreti della politica al di là dei messianismi. In questo acceso confronto il primo ha detto al secondo che la mossa di candidare Bolldrini e Grasso è soltanto una foglia di fico, il secondo ha risposto con un'accusa che avrebbe dovuto inchiodare Grillo alla sua vocazione tatticista e autoritaria: "leninista".

   Bersani, ovviamente, conosce bene il significato politico e storico del leninismo e sa bene che questo paragone con il movimento cinquestelle è del tutto inadeguato. Colpisce però la logica con la quale si trasforma una categoria del pensiero politico del novecento che è stata così a lungo appronfondita e coltivata, soprattutto in Italia, in un insulto. Forse per sottolineare ancora una volta una distanza culturale, ma non ce ne era bisogno, con una tradizione politica italiana dalla quale lo stesso Bersani proviene. Immaginiamo che, fra qualche tempo, verranno usati termini come "comunista", "marxista" per demonizzare l'avversario.

Il movimento 5 stelle nella sua deriva autoritaria impersonata (come noto in questo blog l'argomento è stato affrontato da oltre un anno) dal due Casaleggio-Grillo ha i caratteriti misticheggianti, maniacali nel controllo delle espressioni di ciascun adepto e nella proposta dei contenuti messianci, tipici dei movimenti politici che si alimentano di irrazionalismo e populismo. Certo, nel movimento cinque stelle ci sono anche tante altre cose e si dibattono valori importanti che sono ricondotti alle contraddizioni del sistema capitalistico globalizzato di cui facciamo parte. Ma non dei militanti a 5 stelle e delle loro istanze qui si parla. Ma della Weltanschauung di Grillo e Casaleggio e del loro modelo di organizzazione politica. Le visioni del cyber vate e del comico miliardario sono legate all'heimat, alla terra d'origine (anche papa Francesco è buono a prescindere perchè ha origini liguri e piemontesi), alla difesa indistinta dai rapporti di produzione di ogni categoria sociale, anche quando entrano in conflitto tra loro (vedi l'idea di abbandonare al loro destino i migranti), al populismo anti-Stato (magistrati peggio dei mafiosi), più tipici dei furori anti-sistema del partito nazionalsocialista (ad esempio contro Weimar) che del leninismo.

L'organizzazione messa in piedi da Grillo si è avvalsa solo di una propaganda di tipo leninista (piazze, web, cellule, realtà territoriali capaci di mobilitarsi ne rilanciare le parole d'ordine, penetrazione nelle grandi aree urbane e proletarizzate, come sono del resto oggi i precari, gli artigiani, gli studenti sine die etc.), ma di una sintassi organizzativa che con il leninismo non c'entra. Nel partito di Lenin, studiato e efficacemente rielaborato anche da Antonio Gramsci, si distingono alcuni caratteri davvero lontanissimi dalla visione di Grillo.

Il primo è quello dei quadri intermedi. Grillo non vuole un partito di dirigenti, o come avrebbe poi detto Gramsci, un esercito di capitani. Vuole gente che discute per poter arrivare alla più efficace soluzione per rappresentare le sue indicazioni. Anche quando queste, con il tempo, entrano in contraddizione. E qui citiamo solamente la polemica sull'autonomia dei deputati e dei senatori dal proprio partito in omaggio all'art.67 della costituzione, anni fa santificato dal comico genovese.

Grillo vuole gente che ad esempio voti in parlamento come lui indica e che non metta in discussione la linea del partito. Il centralismo democratico, altra brillante soluzione leninista per coniugare democrazia ed efficacia politica, in Grillo ha l'ordine dei fattori invertito. Prima c'è l'indicazione sua e di Casaleggio, poi la discussione su come implementarla. Direi che i quadri politici del movimento a cinque stelle, secondo Grillo, sono più vicini all'idea che in un'azienda di IT si ha del proprio personale qualificato. Il consiglio di amministrazione stabilisce che si deve ottenere un prodotto che ottenga un risultato e allora gli sviluppatori del programma lavorano al modo più efficace per architettare un software che raggiunga quell'obiettivo. Si scannano fra di loro, ma poi trovano una linea comune. Il momento di confronto democratico è affidato al come e non al cosa.  

Infine c'è un carattere che radicalmente allontana il M5s dall'idea di un'organizzazione leninista. I quadri del partito di Lenin, oltre a concorrere a pieno titolo, una testa un voto, a tutte le cariche, anche alla leadership dell'organizzazione, sono presenti fra i media, pubblicamente e visibilmente, affrontano senza timore o retropensieri ogni occasione pubblica per portare alle masse, in ogni luogo e con ogni mezzo, le indicazioni e le elaborazioni del partito, secondo una precisa disposizione e secondo le caratteristiche di ciascuno. E poi, cosa che chiude definitvamente la questione, in Lenin esiste l'aborazione di una figura che è proprio agli antipodi della visione politica del movimento cinque stelle: quella del rivoluzionario di professione. Il partito leninista deve mettere insieme  un gruppo di dirigenti che, nella vita, fa solo quello: politica, nella funzione organizzativa e di rapporto, loro assegnato dal partito, con le masse. Il m5s invece parla di mandati a tempo e classe politica e dirigenziale che si rinnova. Insomma se da una parte per Grillo devono cambiare tutti a rotazione tranne lui e Casaleggio ed esalta il dilettantismo nella politica, per Lenin il partito si rafforza se forma quadri professionalmente dedicati solo a questo, ma che, a differenza del sacerdote genovese, possono concorrere in ogni momento alla guida dell'organizzazione.

Insomma in Lenin esiste la mediazione (che è democratica per sua natura) di una componente aristocratica (nel senso greco e platonico del termine) e cioè un'avanguardia che prende su di sè il compito della rivoluzione. Per Grillo lui e Casaleggio sono inamovibili, servono solo dei dilettanti della politica capaci di irradiare il verbo del vertice in ogni istanza istituzionale. Alla fine Bersani ha confuso (ben sapendo di farlo) i professionisti in buona fede di Lenin con i dilettanti allo sbaraglio che Grillo vorrebbe avere (e mantenere).

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16 marzo 2013 6 16 /03 /marzo /2013 00:51

BOLOGNA - Sabato 16 marzo il Corriere dello Sport-Stadio rivela un'indagine della Lega calcio con dei dati molto seri e importanti. Il report non è ancora stato divulgato. L'indagine è stata commissionata a tre importanti aziende che si occupano di marketing, rilevazioni, assemblaggio dati e comunicazione sportiva. Secondo questo rapporto il calcio ha perso in un anno oltre cinque milioni di sostenitori e per la prima volta nella storia del nostro paese chi non segue il calcio è diventato la maggioranza con il 50,5%. Lo studio è stato compiuto in riferimento ad un dominio di oltre 50 milioni di persone al di sopra dei 14 anni. La disaffezione è avvenuta per la crisi o per Scommessopoli? Di primo acchito si direbbe che la fuga dal calcio dovrebbe essere avvenuta più per la crisi che per le scommesse. Ma i dati andrebbero analizzati più approfonditamente. Quella di sabato è solo la prima puntata del Corriere dello Sport che ha a disposizione il materiale che la Lega calcio ancora non ha reso pubblico.

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1 marzo 2013 5 01 /03 /marzo /2013 12:05

Un anno fa. Un anno senza Lucio Dalla. Un anno senza e Bologna 
sembra diventata un’altra cosa. Forse ce ne siamo accorti partendo  
proprio dal fatto che lui non c’è più. Ci sono eventi che diventano
un raggio e illuminano tutto quello che hai intorno. E allora vedi, in
quella luce, ciò che era già evidente, eppure in ombra. Ora Lucio, 
da vero marinaio, veleggia in acque ignote. Chi resta si spegne in una  
speranza da contrattare giorno dopo giorno in un mare domestico.  
Incalza più o meno così un grande lirico: C’è chi ha timore ad andare
alla fonte. Ma la ricchezza inizia nel mare. E i veri marinai sono pittori 
che raccolgono tutta la bellezza di questo e di qualsiasi altro mondo.  
Vivono dove la notte non ha luci, lontani dalle feste comuni. Il mare  
dona e toglie il ricordo. E allora quello che manca lo istituiscono i  
poeti. O i marinai stessi.

(Pubblicato su Stadio 1-03-2013)

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  • bartolozzi
  • Nato a Roma il 7-3-1962, giornalista
  • Nato a Roma il 7-3-1962, giornalista

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