BOLOGNA - Su l'Unità del 13 ottobre, un commento di Rinaldo Gianola mi ha sorpreso per la povertà di argomentazioni a fronte della serietà della questione. Gianola non è il primo collaboratore che passa. E' un vicedirettore che ha incrociato la sua professione con il racconto delle questioni industriali italiane.
Gianola critica Vendola il quale sul suo profilo Facebook ha criticato il suo partito romano che aveva prodotto un manifesto in morte di Steve Jobs. Gianola usa del sarcasmo sul fatto che la sinistra si fa male su questioni irrilevanti, dividendosi anche su un inventore cool.
Ma la questione, ahimè, non è così banale. Non fosse altro che Sel, a Roma, credo, non produca più di dieci manifesti a tema all'anno. E quindi la scelta è così politica che ignorarne la portata - come fa Gianola - è semplicemente cattivo giornalismo. Vendola, pur essendo lontano mille miglia dalla mia idea di politica, stavolta ha ragione. Steve Jobs non può essere un mito della sinistra, la sua morte è stata accompagnata da una scarsa riflessione sul suo modo di imprigionare l'era digitale.
Questo non lo dice solo qualche frickettone nostrano, ma lo sta ripetendo da decenni un'area formata da militanti, ricercatori, uomini delle professioni, pezzi della società civile americana che è stata semmai area di riferimento del partito democratico Usa. Quell'area che tanto piace a certi dirigenti del Pd e che, forse, trova proprio in Gianola un estimatore, visto che ha redatto un libro-intervista con Colaninno.
Lo sviluppo dell'era digitale presenta gravi rischi per la democrazia (così come viene intesa dalle carte dei diritti, fondatrici, delle società occidentali, mica stiamo parlando di comunisti). Le piattaforme informatiche, lo sviluppo dei software proprietari e lo strapotere delle aziende che lo commercializzano, l'universo 2.0, sarebbero addirittura in contrasto con il primo emendamento Usa che garantisce libertà (in senso capitalista, s'intende). Una determinata idea del mondo digitale contrasterebbe proprio (attraversola mancanza di circolazione di prodotti intellettuali, determinate da certe rigidità imposte dai software proprietari) con lo sviluppo delle attività libere.
Da qui è nata la battaglia sul software libero, sull'open source, open access da qui si è riformulata la nozione di copiright, il famoso copyleft. Tant'è vero che uno dei padri fondatori del protocollo Gnu che proprio di questo parla, e fondatore della Free software foundation, è Richard Stallman, il più irriverente commentatore della morte di Steve Jobs. Altro che manifesto listato a lutto.
Ma riassumiamo i punti delle piattaforme (si trovano ovunque in rete) che ritagliano la nozione di software libero (E poi proseguiamo analizzando il nostro caso).
Libertà 0: Libertà di eseguire il programma per qualsiasi scopo.
Libertà 1: Libertà di studiare il programma e modificarlo.
Libertà 2: Libertà di ridistribuire copie del programma in modo da aiutare il prossimo.
Libertà 3: Libertà di migliorare il programma e di distribuirne pubblicamente i miglioramenti, in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio.
(L'accesso al codice sorgente è un prerequisito di 1 e 3). Questo non è ovviamente in contrasto con la vendita e la possibilità di creare impresa nell'ambito del software libero. Anzi i
benefici che questa concezione realizza sono a vantaggio soprattutto delle piccole e medie imprese. Sono cose che si trovano facilmente in rete e nella policy di Gnu.
La politica di Apple ha costituito, proprio attraverso i beni prodotti dalle intuizioni di Steve Jobs, un salto di qualità: la libertà d'espressione, fatta di contenuti (foto, post, filmati), diventa immediatamente merce a costo forza-lavoro zero e rivenduta, senza alternativa, proprio ai creatori stessi della merce-contenuto, che si trasformano immediatamente in fruitori globali inseriti nelle loro belle piattaforme, nelle cosiddette comunità virtuali. Chi decide come e cosa far vedere sono proprio le grandi piattaforme che, nella logica del web 2.0, gestiscono relazioni e contenuti esercitando una mediazione che Internet non ha prima d'ora ammesso. Non a caso le grandi multinazionali dell'informatica stringono patti e alleanze in modo tale che Facebook, ad esempio, possa essere utilizzabile sui tablet Ipad. Oppure che Google effettui le proprie ricerche anche sui social network, oltre ad acquistare i titoli di tutte le produzioni editoriali il cui diritto intellettuale si è ormai perso nelle riproducibilità e spacchettature imposte da programmi di ricerca e di archviazione di cui tutti contribuiscono a creare una fisionomia e in cui tutti sono schedati in base ai propri gusti e scelte che diventano occasione per marketing diretto a vantaggio di aziende che utilizzano proprio queste scelte che noi facciamo e che diventano merce vendibile.
In questo ambito Jobs ci ha lasciato Icloud dove ormai è in rete (ma dove, chi lo sa, con che regole) l'intero sapere disponibile (dalla musica, ai propri pensieri privati, ai testi letterari, etc.), accessibile secondo regole, ma con un misterioso disegno di possesso e controllo. L'era dei tablet, del multitasking ha creato dei bisogni che, stavolta sì marxianamente, servono a soddisfare non quelli primari e naturali delle società e dell'uomo ma, al contrario, servono a soddisfare i bisogni del capitale: realizzare profitto, realizzare le condizioni per fare profitto e non sviluppare i bisogni che non servono queste due logiche.
Ecco, caro Gianola, questa è la posta in gioco. Non una pruderie sulla quale esercitare il proprio sarcasmo. E, quindi, se un leader di partito pone l'attenzione su questo problema è facile l'ironia, ma poi il problema resta. Tra l'altro (e questo sia detto anche nei confronti dei dirigenti romani di Sel) piegarsi all'idolatria un po' provinciale che spesso si accende in Italia, con tanto di lacrima, quando si è di fronte a eventi immaginifici dà davvero il senso della lontananza del nostro paese dalla capacità di discutere e fissare le emozioni da una parte e le analisi dall'altra, negli ambiti che sono loro propri. E questo è anche il limite del nostro giornalismo.
E poi le argomentazioni usate da Gianola fanno cadere le braccia: appartengono alla fattispecie ascoltabile in ascensore, in certi bar (mal frequentati però) e in coda alle poste. L'argomento
principe contro Vendola (che, ripeto, non è il mio leader) è che non si può criticare una modalità produttiva se la si utilizza (sic).
Ecco i due principali capi d'accusa di Gianola.
1) Vendola critica Jobs e la politica Apple dal suo profilo Facebook. E perchè, non è criticabile Zuckerberg, che è capitalista e ha pure fregato il socio?
2) Vendola dimentica che Internet è lo sviluppo di un programma militare americano
1) Sarebbe come se uno pretendesse di smantellare Nietzsche e la sua critica al pensiero occidentale puntando tutto sul fatto che andava a Rapallo o Portofino e in Engadina, mete turistiche a la page. Oppure si ritenesse demolire un leader politico che critica un piano industriale fondato sul trasporto su gomma con il fatto che si reca ad una determinata riunione in automobile o in pullman, oppure biasimare degli attivisti ecologisti che puntano l'indice sull'inaccettabilità del livello di smog e polveri sottili in una determinata città con l'argomento che respirano.
2) Invito tutti a leggere un testo "L'umanista digitale" (2010, Il mulino), percorre la storia dell'era digitale e le problematiche relative a Internet. Chi dice che Internet nasce da un progetto militare, ignora cosa è avvenuto prima e come, da quell'idea o meglio da quella funzione, ci sia poi stato - proprio per pianificare la sopravvivere alle conseguenze di un conflitto bellico - uno sviluppo in senso assolutamente democratico, permettendo a ciascun nodo di essere aggiunto alla rete, secondo modalità indipendenti dal tipo di software o di hardware del proprio nodo. Permettere a tutti di poter comunicare rende tutto più democratico. O no? Confondere poi Internet con il www è un'altra cialtroneria. Quest'ultimo nasce dall'idea di mettere in comune varie istanze di sapere ed è stato prodotto dal Cern di Ginevra che aveva necessità di far confrontare ricercatori e laboratori sparsi per il mondo. La rete quindi è nata con una precisa scelta: quella di essere incontrollabile da una istituzione centrale e collegabile a chiunque volesse stabilire una relazione. E questo ne ha permesso lo sviluppo globale.
Uno dei padri della cibernetica, così come la intendiamo noi, Norbert Wiener, ha subito intuito che questa disciplina fosse ideale per la comunicazione. Era un autentico democratico che organizzò circoli e seminari sul fatto che comunicazione e controllo fossero interconnessi, lavorò a fianco dei sindacati per manifestareil timore di quanto poteva accadere e quello che andava fatto per evitare una svolta anti-democratica dell'utilizzo delle tecnologie cibernetiche. Era in linea con la denuncia che fece Foucault riguardo la complicità di certi scenziati circa l'utilizzo dell'emergia atomica. Wiener era stato a tal punto capace di preparare il cammino di questa svolta che, fra i suoi allievi, crebbe quel Licklider, diventato poi capo del progetto Arpa da cui nacque l'idea di Internet. Wiener può essere sì un profeta visionario con un'idea di sinistra della nostra società. Ed era anche un genio: e aveva intravisto tutto. Meno che su questa questione un giorno potesse scrivere anche Rinaldo Gianola.