BOLOGNA - Abbiamo capito che Niki Vendola non è Josè Mujica, il presidente dell'Uruguay che rifonde allo Stato il 90% del proprio appannaggio e che vive in una casa di 50 metri quadrati. Niki Vendola non nuota nell'oro, nè ha collezionato comportamenti illeciti. Ma il suo modo privato di fare politica contrasta clamorosamente con la sua missione pubblica, esattamente il contrario di come è e appare il primo cittadino dell'Uruguay.
La telefonata fra il presidente della Regione Puglia e l'ex responsabile dei rapporti istituzionali dell'Ilva, Girolamo Archinà, esprime in modo drammatico una classica antinomia di ogni forza rivoluzionaria o radicalmente riformatrice. La confidenza e la collusione emotiva, ancora prima di alcune espressioni e contenuti infelici debordanti in quella chiacchierata, sono sconfortanti per chi crede che le trasformazioni politiche ed economiche passino per forza da una differenza di comportamenti. Non è sufficiente proporre contenuti diversi nell'esercizio della propria attività politica. E' anche l'aspetto presentazionale a fare la differenza. E visto che il modo di dire una cosa, in una politica diventata, con gergo consueto, spettacolo, è parte importante di essa, allora ne deriva che sbagliare tono, sbagliare forma, sbagliare lessico è come sbagliare contenuto.
Piaccia o non piaccia quella che descriviamo come degenerazione della politica è in realtà la commistione dei contenuti alle forme che pervadono la nostra forma di vita sociale rendendo politico ogni motteggio. Chi ne ha tratto vantaggio, per ora, è chi detiene il potere. Gestendo comunicazione e informazione è facile banalizzare, abbassando qualsiasi contenuto (soprattutto quegli scomodi) a qualsiasi smorfia (e così finiscono per essere tutti uguali).
Fa parte in ogni caso di quella estetizzazione del mondo che è un modo d'essere del post-moderno. Ci siamo dentro, lo abbiamo accettato con acquiescienza attraverso l'arrendevolezza verso forme culturali di comunicazione importate e per certi versi persino esaltate rispetto agli stili del passato.
E perciò quando Vendola con termine mutuato dalla filosofie della destrutturazione parla di necessità per la sinistra di creare una nuova narrazione, indica la strada. Solo che invece di costruire attraverso contenuti e comportamenti un nuovo mito dal carattere performativo, il "presidente" fa di necessità virtù. Dove la necessità di governare è la virtù stessa. Lo stile, invece, è la strada che indistintamente replica i propri comportamenti pubblici o relazionali da decenni. Ma la vera rivoluzione attecchisce ed è autorevole se è anche rivoluzione di stile. E' proprio paradossalmente ciò che Vendola ha spesso invocato. Ma, in questa ricerca, evidentemente il leader di Sel si è perso.
E' pure evidente che l'operazione su Vendola sia stata messa in piedi da un'area contigua al populismo di Grillo e del suo padrone, Casaleggio. E va messa in conto all'attività eversiva di quell'area politica e intellettuale. Ed è quindi mirata non alla chiarificazione di ciò che è alternativo all'attuale potere, ma allo spostamento dei consensi verso un asse verticistico e, ripeto, eversivo che vuole far cadere il paese in mano a forze oscure e comunque ad un oscurantismo politico. Tant'è vero che ogni commento proveniente da quell'area parla di immediata fine politica di Sel e del suo leader. Rendendo quindi evidente un fatto: il colpo vibrato a Vendola aveva la precisa ambizione di poter essere mortale.
Considerazioni tattiche a parte, resta però indubbio che la questione potere, contenuti del potere e forme di rappresentazione di potere, oggi costituisca un intreccio dal facile corto circuito e che non prevede la possibilità di avere fili scoperti. Raccontare le proprie ragioni, riuscire ad edificarle politicamente e trovare il modo coerente di farlo non può che essere un tutt'uno. Si è credibili se ogni aspetto della presentazione della propria politica è percepito senza difformità dai contenuti. Non ci si può comportare pubblicamente da rivoluzionari e da oligarchi in privato. L'unica grande coerenza dell'accozzaglia grillina, in realtà, è solo questa. Aver reso trasparente il meccanismo mafioso (nel senso della cultura politica che evoca questo termine, legato all'appartenenza e alla fedeltà e non alla competenza e alla critica di giudizio) di gestione della propria organizzazione, ai contenuti populisti e radicali in cui le aree di riferimento di quel messaggio politico si identificano. Anche la pochezza politica dei cinque stelle e la arrendevolezza ai sistemi padronali suggeriti da Casaleggio e Grillo sono un tutt'uno. Ma questo non viola alcun patto. Nessuno si sorprenderà di una telefonata galeotta di Grillo che tranquillamente senza infingimenti manda a parlare gente con i fascisti de Le Pen in Francia o il cui ideologo, Paolo Becchi, strizza l'occhio a Berlusconi pur di contrastare partiti o organizzazioni politiche non padronali, anche se profondamente ammalate, come quelle legate ai sindacati e ai partiti della sinistra. I grillini vagheggiano il meglio e praticano il peggio, ma tutto alla luce del sole. La loro formula di consenso non viene contraddetta mettendo a confronto il comportamento con i contenuti, perchè è tutto già noto. E accettato. Il colpo di grazia semmai arriverà, come sta accadendo per la spassosa amministrazione Grillo-Pdl di Parma (i quadri tecnici di riferimento della struttura di amministrazione sono legati alla destra, la faccia ce la mettono i gonzi di turno), dalla clamorosa inefficacia dei risultati. Promettere di impedire la costruzione del termovalorizzatore e non riuscirci è indubbiamente un fiasco di cui la gente si rende conto. Il ciarpame grillino, perciò, verrà spazzato via soltanto quando si metteranno a confronto promesse e risultati. Ma per aspettare che ciò accada sarà necessario che questa gente metta le mani sul potere. E allora sarà il disastro. E con loro andremo tutti alla deriva.
Viceversa per la sinistra, ammesso che abbia senso in Italia parlare, in questo momento storico, di questa categoria politica, la verità è un'altra. Quella che hanno profetizzato e poi dimostrato gli zapatisti in Chiapas. Non sono le sconfitte politiche su questo o quell'altro aspetto a privare di autorevolezza un governo gauche. Il vero nodo, ma questo lo propose con drammaticità già il furibondo dibattito che esplose già ai tempi delle grandi insurrezioni europee dell'Ottocento, fra Bakunin e Marx, e pure la critica radicale alle pretese organizzative di una struttura che lotta per la rivoluzione (con le derive di Stirner), è la questione del potere. Gli zapatisti, al culmine di oltre due secoli di dibattiti, hanno sviluppato un'idiosincrasia verso quelle pratiche politiche che privilegiano il fare al come farlo. Ed ecco che il loro monito e tante complicate, e a prima vista inefficienti misure di governo, restano una traccia, anche se aurorale, alla soluzione drammatica del vero grande rischio di ogni rivoluzione che parte con la missione di cambiare il potere e spesso finisce per l'esserne cambiata.