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17 ottobre 2011 1 17 /10 /ottobre /2011 00:39

Il commento di Valentino Parlato su "il manifesto" riguardo la giornata del 15 ottobre è fuori dal coro e fa riflettere. Al di là delle provocazioni provenienti da alcune frange addestratesi alla guerriglia urbana, è necessario ragionare di più su quanto accade in Italia e in Europa. Dice Valentino Parlato: "...nell'attuale contesto, con gli indici di disoccupazione giovanile ai vertici storici, era inevitabile che ci fossero le manifestazioni di violenza. Aggiungerei: è un bene, istruttivo che ci siano state. Sono segni dell'urgenza di uscire da un presente che è la continuazione di un passato non ripetibile. Le manifestazioni e le pressioni... chiedono un rinnovamento della politica...Ci dovranno essere cambiamenti nelle lotte sul lavoro e nel sindacato e nella politica economica... E' una sfida positiva agli attuali partiti di sinistra a uscire dal passato e prendere atto di quello che nel mondo è cambiato".

Lo schema riproposto da tutti: due realtà distinte, una violenta (o infiltrata) e l'altra non-violenta è davvero rappresentativa della realtà dei movimenti anti-liberisti, degli indignati? Prendiamo la Grecia: alle durissime manifestazioni di piazza che degenerano in scontri sempre più frequenti partecipano non solo le frange militarizzate, le avanguardie narcisistiche di cui parla (sempre domenica 16 ottobre) Michele Serra su "la Repubblica". Partecipano padri di famiglia, madri, anziani e pensionati ridotti alla miserie dalle politiche di latrocinio perpetrate ai loro danni. Perchè lo fanno? Chi li ha imbrogliati?

Il New York Times sostiene che la Goldman Sachs, tra le più potenti banche d'affari mondiali, aiutò il governo di centro-destra della Grecia a nascondere i propri debiti, procrastinando i pagamenti grazie agli acquisti di "derivati" e opzionando rendite future (autostrade, turismo, casinò, etc.) a garanzia del buco sulla sanità. Tutto fatto in maniera tale che non ci fosse la parola "debito" su queste operazioni, ingannando così, oltre ai cittadini, anche gli stati dell'Unione che permisero l'ingresso nell'euro della Grecia. Accadde nel 2001 e Draghi divenne vice-presidente della Goldman Sachs nel 2002 (nel 2006 arrivò alla Banca d'Italia). La Grecia da allora fu sollecitata sempre più impellentemente a rientrare, anno dopo anno, da quelle esposizioni, comunque mascherate. Ora Draghi fra poche settimane sarà presidente della Bce che imporrà nuove strategie di rientro alla Grecia (questa volta con il timbro della comunità europea) stavolta dagli effetti sociali spaventosi. Se voi foste nei panni di un pensionato, di un impiegato statale, di un cittadino greco qualsiasi al quale è stato ridotto lo stipendio o la pensione del 30-40% o che ha perso il posto di lavoro e il sostegno del welfare, cosa capireste, conoscendo la biografia di Draghi? E cosa pensereste degli obblighi che deriverebbero dai nuovi diktat imposti dalla Bce? E se accadesse, come è capitato in Italia,che dopo, per esempio, anni di lotta e di proposte civili e pacifiche, come quelle sulla cosiddetta riforma Gelmini, non vi venisse mai concesso neppure uno spiraglio di trattativa o di dialogo, cosa capireste della politica e della utilità della politica per risolvere le grandi questioni dalle quali dipende il futuro di tutti?

Si affacciano sulla scena dei conflitti sociali generazioni e pezzi di società che non hanno fatto tradizionalmente parte di queste dinamiche. Sono stati catapultati in questo scenario improvvisamente infernale dalla crisi e da una realtà che loro nemmeno immaginavano o di cui percepivano a mala pena la capacità di dominio. Se la politica è sorda e cieca, se la politica ripete stessi protocolli, come potrà rappresentare una soluzione per chi ha di fronte la disperazione e si affaccia solo ora alla ribalta del conflitto sociale, oltretutto da disperato? E chi è disperato rischia o no di abbandonarsi a pratiche demolitive del presente e di ogni prossimità, visto che la politica gli garantisce solo inesplicabili sconfitte? Ecco da dove nasce la risposta distruttiva, persino nichilista, alla frustrazione sociale.

I giornali di oggi sono pieni di calcoli: milioni di euro di danni causati a Roma dalle violenze del 15 ottobre. La macchima distrutta del dipendente statale, le devastazioni a piccoli beni privati o a strumenti di utilità pubblica sono uno schiaffo a chi soffre di questa crisi, è chiaro. Ma chi parla più dei miliardi di danni causati da truffe come quelle dei derivati, dagli imbrogli delle agenzie di rating che hanno classificato come buoni prodotti finanziari marci, inducendo alla miseria milioni di piccoli risparmiatori? Chi ripaga delle sofferenze e della povertà causata dall'azione di capitalisti un tempo osannati anche dalla Chiesa, come Calisto Tanzi? E quando si dice che i teppisti non pagano mai, si pensa al fatto che i manager che determinano scelte fallimentari e improduttive continuano a vedersi aumentare senza controllo i propri premi e benefit sui quali nemmeno pagano le giuste tasse? E dei governi che hanno ricapitalizzato le banche responsabili della bolla speculativa del 2008, cosa pensa il disoccupato, o il capo- famiglia che non riesce a far fronte nemmeno più alle spese alimentari? E cosa ce ne facciamo di chi ha diffuso titoli tossici ed è rientrato attraverso fondi salva-banche dei propri latrocinii e approfitta di questa nuova disponibilità finanziaria per stringere attorno ai debiti degli stati (che hanno ripianato i buchi delle loro truffe) un laccio sempre più soffocante, tanto da determinarne anche le condizioni politiche e sociali di risanamento? Ci meravigliamo allora che a qualcuno truffato, emarginato, colpito e privato della speranza e del futuro venga in mente di dar fuoco a tutto?

Diceva un vecchio e saggio comunista milanese a proposito degli sbocchi razzisti e discriminatori di certe realtà di disagio nel nord Italia: "Ma se non stiamo dentro i processi sociali che, per esempio, determinano una ribellione contro spaccio e malavita, o concorrenza fra poveri per le soluzioni abitative o i licenziamenti, degrado ambientale, non potremmo poi intervenire quando questi processi prendono direzioni immature, irrazionali o addirittura razziste. Faremmo solo del moralismo, per giunta inascoltato". Se invece dentro le rivendicazioni che partono da alcuni bisogni si è presenti per davvero, sarà più facile contrastare derive razziste che danno una risposta di pancia al tema della vivibilità del territorio o insensatamente violente nei conflitti sociali sul lavoro. Questa è la posta in gioco per la sinistra: non i balletti attorno ai vari Draghi, Colaninno, Marchionne o la ricerca di un'unità purchessia con gente come Bonanni, o l'inseguimento di chimere dei rottamatori con il vizietto delle visitine ad Arcore. Da questa crisi alcuni calcolano di uscirne più ricchi e potenti, altri temono di diventare più poveri e emarginati. La questione è semplice: bisogna scegliere con chi stare.

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  • bartolozzi
  • Nato a Roma il 7-3-1962, giornalista
  • Nato a Roma il 7-3-1962, giornalista

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