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26 agosto 2011 5 26 /08 /agosto /2011 08:29

BOLOGNA - La lettera di Veltroni scritta a "La Repubblica" appartiene al consueto stile del "sì, ma anche...". L'esposizione di molti passaggi sono segnati  dall'individuazione di una caratteristica degli oggetti via via analizzati e dall'immediata esposizione di un loro opposto. E' la dialettica veltroniana, incapace di accendere non solo il motore della storia, ma anche quello delle maggioranze di partito.

 

Ci sono poi, oltre ad alcuni errori di valutazione, delle vere e proprie inesattezze, messe lì solo per dare ritmo allo scritto e per infarcirlo di temi d'attualità che ne preservino la freschezza: questioni toccate qua e là, ma senza nessun approfondimento che giustifichi un vero nesso.

 

 Prendiamo ad esempio uno dei momenti della dialettica negativa di Veltroni.  Le istanze che provengono dalla grande mobilitazione cilena sui temi della scuola e della cultura (connessi con il lavoro) vengono messi nel poutpourri degli eventi socio economici con il Nord-Africa e con la Spagna. Per Veltroni queste rivolte giovanili sembrano il Sessantotto, ma non lo sono. Vediamo perchè: il Sessantotto per Veltroni era un movimento complessivo che faceva leva su una diversa (da quella capitalista, sottintende l'ex-mai-stato-comunista) visione del mondo. Per Veltroni. "La differenza è che oggi prevalgono movimenti che sembrano fare del no la ragione stessa della propria identità. Il no si diffonde più velocemente e facilmente dei si, è rassicurante e identitario. Ma finisce col concorrere al caos e ai pericoli che il caos genera". A parte che il Sessantotto, come lo vediamo adesso noi (e Veltroni quindi) è in una prospettiva il cui fuoco è a 45 anni di distanza e con tanti avvenimenti (e valutazioni di avvenimenti) posti in mezzo. E' del tutto diversa la riflessione che si attua di una situazione nel corso del suo sviluppo, come le mobilitazioni in Cile, rispetto a quella che sonda eventi che hanno esaurito le loro potenzialità. E poi, anche il Sessantotto, nella sua complessa dinamica, partì da alcuni no, alimentati da una visione del mondo diversa da quella alla quale ci si opponeva. Del resto accade sempre così nella storia. Prendiamo il riferimento culturale storico di Veltroni, la rivoluzione americana. Quell'epopea cominciò con un fatto bagattellare:  buttare un carico di thè nel porto di Boston. Se Veltroni avesse scritto il giorno dopo di quella rivolta, cosa avrebbe detto? Lo sviluppo e la profondità dei movimenti politici vanno studiati per bene, bisogna acquisire informazioni, senza liquidarli in un'articolessa scritta alla fine dell'estate e senza che vangano inseriti in qualche punto del discorso, solo perchè viene bene.

 

Quello che accade in Cile è una fase di una dinamica sociale e culturale il cui sviluppo non è scontato: il no alla scuola privata come riferimento formativo è strettamente collegato alla valorizzazione di una scuola pubblica e di una cultura sociale dalla quale si intende partire per un progetto diverso di società. E' una visione del mondo che combatte quella offerta dalla ideologia del pensiero unico dove (lo dice lo stesso Veltroni) stanno insieme le spinte riformiste e i Tea Party, ugualmente, dice lui, legittimi in quel contesto. "Chile debe ser distinto" è lo slogan delle mobilitazioni e degli scioperi che accomunano gli studenti e i lavoratori della Central Unica (Cut): altro che no e basta. 

 

Quello che sta accadendo in Cile supera a velocità supersonica i timidi approcci del "sì, ma anche" esibiti dai veltroniani quando si parla di intervento dello Stato sulle grandi questioni della modernità. Si tenga stretto i suoi Ichino e i suoi Tea Party. Cerchiamo piuttosto noi di capire cosa accade nelle metropoli latinoamericane. Non a caso, in questi anni, in Sudamerica (specialmente in Brasile, Cile, Argentina) uno degli autori più letti e studiati nelle Università è Antonio Gramsci (a questi corsi e seminari partecipano forze rilevanti dell'Università italiana, come quella di Bologna). Non a caso a guidare la rivolta degli studenti è una giovane leader (Presidenta de la Federación de Estudiantes de la Universidad de Chile) formatasi professionalmente e socialmente in ambito accademico, ma dirigente comunista di primissimo piano e quindi, per quest'ultima ragione, avremmo detto una volta, a contatto con le masse. Si tratta di Camilla Vallejo Dowling, comunista e figlia di due militanti comunisti cileni degli anni settanta. A volte essere stati (o essere) comunisti non guasta. 

 

Vi invito a leggere il suo blog e le proposte del movimento studentesco cileno. Criticabili o meno, ma come si fa, se non a causa di un modesto impianto stilistico e concettuale a mettere queste cose insieme a quello che accade in Nord-Africa o in Spagna?

 

Infine, ma proprio perchè proprio non si può tacere di fronte a certe affermazioni, c'è l'ennesima boutade. Questa qui non è nemmeno nuova (venne esposta a Lingotto) e ha il cattivo gusto di essere richiamata nel momento in cui il governo Berlusconi chiede sacrifici a chi lavora, a chi produce, a chi paga le tasse e lascia intatte le ricchezze spesso di provenienza parassitaria e finanziaria che strangolano il paese. Dice Veltroni che cita se stesso che citava Olof Palme, "Noi democratici non siamo contro la ricchezza ma contro la povertà. La ricchezza, per noi, non è una colpa da espiare, ma un legittimo obiettivo da perseguire". Sarei curioso di sapere a chi si riferisce. Non tanto per  far emergere il fondamento di questa categoria della riccheza motore della storia, perchè la provenienza è nota. Bisognerebbe piuttosto che Veltroni ci dica da quali ambiti politici e culturali nasce la condanna morale della ricchezza. Ripeto, quella morale. Il Pci dal quale proviene Veltroni non l'ha mai fatto in questi termini, la tradizione del peniero marxista, nelle sue varianti economiciste o dialettiche non ha mai dato giudizii di valore etico sulla ricchezza, l'ha però analizzata. Semmai è patrimonio di un socialismo utopico, oppure del pauperismo cristiano. Sì, proprio del grande pensiero di Francesco, con il quale spesso Veltroni si confronta ad Assisi.

 

L'idea della ricchezza individuale (sia dei singoli che del capitale individualizzato) che genera benessere anche per i "salariati"' è quella dell'economia classica,  sottoposta a critica serrata da parte di Marx e non solo; critica sostanzialmente inconfutata. La ricchezza viene generata da pluslavoro che crea plusprodotto e plusvalore. E su questo concordavano anche gli economisti classici. Aggiungevano: più si produce, più esiste plusprodotto e quindi plusvalore. Ma non andavano a fondo sui criteri di distribuzione dei benefici di questo plusvalore. E questi benefici, infatti, dalla prima alla terza rivoluzione industriale, non sono mai stati coerentemente (cioè senza contraddizioni) distribuiti. Nella storia del movimento operaio, da quella comunista a quella riformista e socialdemocratica, è patrimonio comune il seguente approdo: la distribuzione del plusvalore è contraddittoria con la sua produzione sociale. Attenzione: questa non è una condanna di tipo etico, è una constatazione di tipo critico-scientifico. Se il plusprodotto e quindi il plusvalore è generato socialmente, e questo accade nella modernità, quando cioè l'uomo comincia a produrre socialmente, è contraddittorio che i benefici vadano in una sola direzione: quella del capitale. Solo nel caso in cui coincidano proprietà dei mezzi di produzione e forza-lavoro (artigianato e produzione cooperativa) non ci sono in teoria contraddizioni. Altro che presunti appelli moralistici contro la ricchezza contro i quali Veltroni si schiera con motteggi modernisti: la questione avrebbe bisogno di ben altre analisi e risposte, vista la natura del problema. 

 

Link di riferimento:

 

http://www.repubblica.it/politica/2011/08/26/news/lettera_veltroni-20884888/?ref=HREC1-1

 

http://www.camilapresidenta.blogspot.com/

 

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  • bartolozzi
  • Nato a Roma il 7-3-1962, giornalista
  • Nato a Roma il 7-3-1962, giornalista

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