I gravi fatti di Roma impongo una riflessione. Dalle prime dinamiche degli scontri si ricava l'impressione che quanto accaduto in occasione della
straordinaria mobilitazione degli Indignados sia una replica, senza lutto, di quello che accadde a Genova nel 2001.
Ci sono alcune differenze, ma tante similitudini, come le tattiche utilizzate nella gestione dell'ordine pubblico. Aver lasciato agire, in un primo momento, gruppi di specialisti della
guerriglia urbana ha di fatto poi consegnato agenti e manifestanti ad un massacro tutto da gestire mediaticamente. E infatti un governo moribondo ha visto questa giornata un
po' come vide il terremoto dell'Aquila. Occasione di consenso.
Differenza fondamentale con Genova è che la gestione della giornata non è stata affidata, a differenza di quanto accadde al G8, ad un organismo sovranazionale, condizionato dai diktat Fbi che
aveva, dopo Seattle, un conto da regolare con il movimento no global (questi diktat sono venuti a poco a poco alla luce nel corso degli anni) A Genova ci fu una evidente volontà di scontro,
scientificamente messa in atto. Stavolta più semplicemente non si è fatto nulla per evitare il peggio, è poi si è dato il peggio quando la situazione è sfuggita di mano.
In questo periodo di vacatio della politica (come può accadere nell'ambito di altri pezzi dello Stato) ogni potere, piccolo e grande che sia, cerca di conquistarsi dei vantaggi. Esiste,
forse in qualche apparato a presidio dell'ordine pubblico, l'idea di accreditare come criminogena l'opposizione sociale (per facilitare poi il proprio compito o attribuirsi dei
ruoli di mediazione sociale). Il governo moribondo non ha avuto problemi ad accodarsi a questa opzione.
Roma 2011 e Genova 2001: cosa c'è di simile.
Tutte le redazioni dei giornali sapevano, attraverso fonti ascrivibili a carabinieri, digos e guardia di finanza che sabato a Roma sarebbero arrivati gruppi organizzati, 400-500 persone, che
avevano programmato un pomeriggio di guerriglia. A differenza di altre occasioni, quando il Ministro Maroni, ad esempio, aveva lanciato allarmi ingiustificati (vedi manifestazione nazionale
Fiom), alimentando paura, stavolta non è accaduto niente di tutto questo. Mentre i pericoli c'erano davvero ed erano stati puntualmente segnalati. Accadde così a Genova.
Nessuno ha cercato di anticipare, bloccare, prevenire l'afflusso di black bloc puntualmente rilevato dal monitoraggio di siti web, canali twitter e comunicazioni fra gruppi di guerriglieri
metropolitanti, peraltro ampliamente infiltrati e "attenzionati": Esattamente come accadde a Genova.
Durante la manifestazione gruppi facilmente riconoscibili da una dotazione indispensabile per gli scontri di piazza (cappucci, martelli, bottiglie, bastoni, recipienti per liquidi
infiammabili, materiale pirotecnico o esplosivi soft) è stata fatta sfilare e aggregare senza problemi agli oltre centomila partecipanti.
Per più di un'ora - come a Genova - i gruppi organizzati hanno agito in maniera indisturbata colpendo obiettivi prima marginali (automobili e qualche vetrina), poi, in un
crescendo, addirittura locali del Ministero della difesa. Ma, poche decine di minuti prima, il prefetto aveva assicurato che la situazione era sotto controllo.
Mentre le frange organizzate si staccavano dal corteo e agivano, montava il tam tam dell'informazione (i grandi siti web d'informazione, le tv satellitari), scatenando paura, caos. Tutto questo
ha suggerito-imposto al governo l'immediata richiesta di interventi per porre fine, purchessia, ad una situazione che stava creando allarme sociale e pressione mediatica. E' quello che
qualcuno attendeva. Il crescendo indisturbato delle violenze e la diffusione delle informazioni sono stati l'elemento scatenante della successiva azione repressiva in controtendenza rispetto a
quanto era stato fatto fino a quel momento dalle forze dell'ordine.
La stessa necessità di agire con ogni mezzo non era stata avvertita, però, in occasione di un'altra giornata di guerriglia, ancora più grave, quella scatenatasi a seguito della morte del
tifoso Gabriele Sandri, quando un gruppo di tifosi ultras dette addirittura l'assalto ad una caserma della polizia nei pressi dello Stadio Olimpico. Non era quello un fatto persino
di natura eversiva? Allora non si scelse l'opzione adottata a Roma in Piazza San Giovanni, ci fu un contenimento "mirato".
L'azione delle forze dell'ordine - esattamente come accadde a Genova - è stata quella di spaccare il corteo. E' stata scelta via Labicana per creare un saliente all'interno del
flusso di manifestanti e poi dedicarsi alla "bonifica" dell'area (Piazza San Giovanni era stata chiusa e circondata, lasciando libero solamente un piccolo passaggio controllabile verso Santa
Croce). Doveva essere il via ad una caccia all'uomo indiscriminata che solo parzialmente ha avuto il suo compimento. Ma ha avuto, comunque, l'effetto di impedire il regolare
svolgimento della manifestazione con lo "sgombero" di Piazza san Giovanni.
Il cuneo realizzato dalle forze dell'ordine che ha spaccato il corteo in via Labicana ha però colpito la manifestazione nei pressi di nuclei più strutturati, quelli dell'organizzazione Attac
(soprattutto romana) e presso gruppi di metalmeccanici presenti e guidati da alcuni leader di fabbrica. (Da ricordare che una parvenza di servizio d'ordine, si era materializzato lungo la parte
iniziale del percorso, quando sono stati i militanti del corteo degli indignados e non polizia o carabinieri a fare il filtro tra il corteo e le aree vietate alla manifestazione. Nel frattempo le
forze dell'ordine si tenevano a ragguardevole distanza per intervenire, semmai, nel caso in cui una parte dei manifestanti avesse puntato sui veri obiettivi sensibili da difendere a
tutti i costi: principalmente l'area al di qua di via Nazionale, dalla sede della Banca d'Italia fino a Palazzo Grazioli).
In via Labicana forti e improvvisati cordoni di manifestanti hanno impedito per qualche tempo lo sfondamento della polizia permettendo ai manifestanti pacifici di trovare riparo un
po'ovunque, attenuando quella mattanza indiscriminata di cui foto e testimonianze danno conto in altre aree e dove il caos per oltre mezz'ora è regnato sovrano.
Dove le forze dell'ordine hanno avuto mano libera sono accaduti i fatti più sorprendenti. Indignados hanno consegnato alle autorità alcuni "provocatori" colti in flagrante, ma in altri
momenti sono stati caricati e spazzati via da altri plotoni, magari appartenenti ad armi diverse. Cariche di carabinieri, finanza e polizia, in sequenza, seguite da ripiegamenti e
dalla concentrazione di forze in altre aree si sono mescolate a momenti di dialogo. L'azione dei provocatori e la replica tardiva e indiscriminata delle forze dell'ordine hanno comunque azzerato
la manifestazione.
Ma, come accadde in Piazza Alimonda, è stata un carosello improprio dei blindati (puntare i manifestanti con i veicoli per disperderli, come dimostrato da alcuni filmati, è vietato dalla
legge e dalle regole ufficiali d'ingaggio) e un contrattacco di chi in piazza stava ormai combattendo, a creare quella pericolosissima situazione che ha coinvolto alcuni mezzi dei
carabinieri, quasi davanti l'imbocco di Piazza San Giovanni. Uno di questi blindati è stato neutralizzato e inciendiato, fortunatamente con la fuga immediata di chi era dentro. E che non ha
reagito. E' stata questa la differenza con Genova (ammesso che lì, a sparare a Carlo Giuliani, sia stato davvero solo Mario Placanica).
A questo punto l'azione dei black bloc ha raggiunto l'apice della pericolosità: visto che c'erano di mezzo non solo beni e proprietà, ma uomini. Le forze dell'ordine dopo una serie di scontri,
ritirate e riposizionamenti, hanno ripreso il controllo della zona prospicente piazza San Giovanni che è stata sbrigativamente ripulita.
Infine la caccia ai feriti. Come a Genova (Bolzaneto e Diaz con altre modalità, studiate e programmate scientificamente) si è data la caccia non tanto ai black bloc (che nel frattempo
continuavano le loro scorribande tornando verso la stazione Termini, seminando distruzione) ma a chi invece si è chiamato subito fuori dagli scontri o è stato ferito in modo del tutto
casuale. Con una serie di irregolarità e intimidazioni nei Pronto Soccorso, le forze dell'ordine sono entrate fino ai locali medici, inseguendo le ambulanze, chiedendo di poter identificare i
feriti. Una pratica lontana da ogni regola e da ogni codice. Alla quale infermieri e dottori, per quanto nelle loro possibilità, hanno opposto degna resistenza.
E' evidente che questo governo, il ministro dell'Interno, il capo della polizia, dopo una gestione così fallimentare dell'ordine pubblico, in occasione di una manifestazione che altrove non ha
prodotto disordini di rilievo, dovrebbero dimettersi. Evidentemente l'operazione Genova 2001 (allora eravamo all'inizio dell'era Berlusconi, tolto il prologo del 1994, poi ci furono Dini, Prodi e
D'Alema) e Roma 2011 sono la drammatica colonna sonora di un serial politico impersonato dal proprietario di Mediaset. Ma la serie potrebbe avere repliche con altri protagonisti. Visto che il
problema non è tanto Berlusconi, ma 1) l'opzione di repressione dei conflitti sociali con qualunque metodo, 2) la legittimazione delle sole proposte politiche che prevedano l'allineamento ai
diktat delle strutture sovranazionali finanziarie e economiche, infine 3) la creazione di una zona grigia dove le frange di guerriglia organizzata si confondano con un'area della provocazione
politica, di cui l'ex Ministro dell'Interno Francesco Cossiga ha sempre raccomandato l'uso.
L'incapacità della politica di essere, a differenza dei tempi di Cossiga, un interlocutore autorevole, rende pericolose e eversive certe scelte. Suggerite, magari, da quei poteri ormai autonomi
che si cercano di ritagliare uno spazio e un dominio al di fuori degli equilibri dello Stato. La politica che non assolve alla sua funzione indebolisce il legame dei vari apparati con un
vincolo valoriale che, comunque, lo Stato, governato dalla nostra Costituzione, possiede. Perciò alcune frange, magari legate agli apparati di sicurezza, possono agire in autonomia. O
stringere per proprio conto alleanze. Con chi? Dentro lo Stato o con settori dell'establishment economico e finanziario, a prescindere dagli obblighi formali verso l'Istituzione nel suo
complesso. E' il pericolo che abbiamo di fronte se non si ripristina, sul serio, il Principato della politica.