BOLOGNA - Mi sono divertito a scrivere su "Stadio" del primo luglio queste righe dopo la prestazione di Alessandro Diamanti contro l'Uruguay nella Confederations Cup, impreziosita dal suo magnifico gol su punizione. Eccole per intero.
Da angeli o da demoni non so, ma quelle traiettorie non sono disegnate
da uomini. Alessandro Diamanti appare senz’altro umano, anche se,
sulfureamente, spumeggia di tatuaggi e di ricci diabolicamente
meshati. Le punizioni calciate ieri contro l’Uruguay, soprattutto
l’ultima, quella dell’1-2, appartengono però ad una precisione
artificiale, quelle da videogioco, oppure sono di un altro mondo.
La mano che permette a quel pallone di salire, di accarezzare la
barriera e di infilarsi con una rotazione su se stessa che sembra
sprigionare bagliori, è invisibile. Ieri ha accompagnato le torsioni
di Diamanti e i tuffi di Buffon nel grande prologo della sfida fra
Brasile e Spagna. Al fianco dei due, soprattutto a fianco a Diamanti,
c’era un angelo o un demone. Qualcuno o qualcosa che ha deciso di
rendere invincibili i protagonisti azzurri.
Ma chi è questo demone? Chi è questo angelo? Sono custodi fedeli dei
sogni, delle ossessioni o delle aspirazioni. Gli artisti, i poeti, i
geni ne utilizzano le risorse. Ma, davvero, chi sono? Sono presenze,
frutto della voglia di credere a qualcosa di grande che diventano
grandi al nostro fianco se ben coltivati, se amati. Ci si specchia in
questi demoni. In loro c’è quella perfezione che inseguiamo e che a
volte desideriamo a tal punto da renderla viva. Cammina con noi
quest’idea di perfezione, ci guarda mentre proviamo e riproviamo una
certa cosa: può essere un accostamento di colori o di parole, un acuto
dentro una tessitura vocale. Nel caso di un calciatore, una giocata,
una punizione, appunto.
In quel demone ci si immedesima e ci si scioglie. Lui, ad un certo
punto, dopo essere diventato il nostro desiderio solido, ci prende di
nuovo per mano. Ma può stordirci. Diventa tanto luminoso da non
poterlo guardare o tanto dolce da non poterlo più abbandonare.
Il Bologna, questo angelo tatuato, questo demone bizzarro, questo
genio che si scopre tale solo in una tarda età da professionista, non
lo può lasciare. Non lo può abbandonare. Gli angeli hanno bisogno di
un luogo dove sentirsi tali. Diamanti, uomo, angelo o demone, deve
restare a Bologna.