BOLOGNA - In questi giorni sono apparse un paio di interviste a due cantautori che hanno attraversato gusto e impegno civile di diverse generazioni (diverse anche nel senso di generazioni diverse), Francesco De Gregori e Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti. De Gregori, tra le altre cose, dichiarava di essersi sentito berlusconiano solo una volta (ma basta per essere commentato), quando la cancelliera Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy si fecero beffe dell'allora primo ministro italiano. E poi ha aggiunto di aver votato per Mario Monti alle recenti elezioni politiche per una delle due camere del parlamento. Jovanotti ha invece parlato di "crescita", "pil", affermando che la crescita economica è bellissima. Insomma una traduzione per dummies del mainstream economico, reso forse meno sincopato dell'hip-hop, ma sufficiente per intenderci.
Questi due spunti sono l'occasione per evocare, nel caso dei due artisti italiani, il concetto di morte dell'arte che appartiene alla storia culturale di due secoli fa, ma che è attualissimo perchè ha a che fare con il venir meno della funzione artistica come guida valoriale del mondo, a vantaggio di una autonoma estetizzazione che, in quanto autonoma, non ha potere di raccordo con istanze generali, ma, semplicemente aderisce al reale. La morte dell'arte venne proclamata da George Friedrich Hegel che aveva ipotizzato la fine della missione dell'arte. Se, il reale è razionale, non c'è più bisogno di un razionale evocato dalla dimensione artistica che ha sempre avuto la funzione di tradurre in immagini, attraverso le forme, le istanze dello spirito. Lo spirito a volte si trovava a suo agio con il tempo di cui era espressione, e allora assistevamo allo splendore artistico eticamente composto con la sua era dell'antica grecia e dei primi secoli della medievalità cristiana. Altre volte l'arte diventava motore dei cambiamenti, li annunciava, li evocava, li rappresentava. Ad un certo punto, sostiene Hegel, questa funzione viene meno. Perchè l'arte si estetizza e perde la sua funzione rappresentativa per relegarsi semplicemente a forma. Questo è Hegel. L'arte quindi, attraverso gli artisti, evocava una visione. Una narrazione come avrebbe sostenuto con vocabolo ora abusato dai filosofi del tardo novecento. Se questa visione non c'è più e dietro l'arte e l'artista non scintilla più l'aspirazione a riflettere su una condizione universale del mondo, siamo arrivati al capolinea. Sostiene Federico Vercellone, estetologo presso l'Università di Torino che la visione dell'arte come istanza spirituale di raccordo "contrasta con la modernità borghese, prosaica, nella quale le diverse sfere dell'esistenza vengono articolandosi come modalità separate che non consentono più quanto contemplato invece dall'idea dell'individualità eroica. In quest'ultimo caso l'eroe può essere legge a se stesso... mentre questo non potrebbe darsi nel mondo borghese moderno". Ed è quindi plausibile che in questa frammentazione delle "sfere dell'esistenza" Jovanotti invochi la crescita del Pil e De Gregori applauda Monti. Nella loro poetica non troverebbe più posto un eroe come Odisseo: nell'era dell'arte vivente, infatti, "l'eroe è legge a se stesso è incarnazione vivente del diritto e del proprio diritto". Sostiene ancora Vercellone: "un moderno Odisseo che procedesse solitario alla strage dei proci non verrebbe riconosciuto come eroe, ma arrestato e giudicato come un criminale squallido". Non ci sarebbe più spazio nè per lui nè per l'eroe della Locomotiva di Guccini. Quest'ultimo sarebbe relegato alla condizione di un terrorista kamikaze, alla stregua dei jihaddisti che si lasciano esplodere seminando terrore fra innocenti. L'arte diventa incapace di costituire un vincolo grazie al quale è connessa alla cultura. Si andrà a sentire, perciò, Jovanotti e De Gregori, nei luoghi istituzionali dove la loro tecnica artistica si offrirà al pubblico (sia pure virtualmente grazie alle tecnologie). Si uscirà e, quanto ascoltato, verrà leggittimato dalle proprie regole artistiche. Non ci sarà, piccolo che sia, un giudizio della storia. Siamo approdati così all'irrilevanza. Tanto che, parlando del mondo che pur ci condiziona, si può arrivare a sostenere, come fanno De Gregori e Jovanotti, senza batter ciclo, di essere a favore o contro Mario Monti, applaudire i segni più che provengono dagli osservatori economici quando ci dicono che il Pil è cresciuto. Che emozione.